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Namm Show 2019: il nostro punto di vista

In un’Italia in cui ci sono fiere pure per il Peperone di Carmagnola (che adoriamo, sia chiaro), da anni manca una fiera per il mercato degli strumenti musicali che sia realmente onnicomprensiva.

Qualcuno di voi ricorderà le fiere di Pesaro, quelle di Rimini, quella di Milano. E poi Bologna nel 2010, ultima degna di nota, replicata qualche anno dopo con un esito sciagurato. Ricordiamo ancora la telefonata di uno di voi andato in avanscoperta: “Ragazzi, non venite perché c’è più roba da voi in negozio che in tutta la fiera”. E ricordiamo pure quei poveracci che si sono dovuti esibire in un piazzale di cemento rovente (40° all’ombra) che a guardarli non c’erano manco i fonici. Pare che dopo aver visitato la fiera alcuni genitori abbiano ritirato i figli dai corsi di chitarra per mandarli a judo.

Anche Francoforte non è messa benissimo, appena la si nomina tra li operatori del settore tutti alzano gli occhi al cielo e qualcuno si gratta con nonchalance.

Quindi, ci siamo detti, se dev’esser fiera, che fiera sia: e Los Angeles è la meta. E poi scappare un po’ dal freddo di Torino non fa mai male.

Il Namm Show nasce nel 1901 ed è da sempre il punto di riferimento dell’industria musicale. Si tiene ad Anaheim, città nota per il parco Disneyland, a sud di Los Angeles e attira ogni anno in media 120.000 operatori del settore, da quasi 130 paesi.
Ci siamo stati già parecchie volte nel corso degli anni e abbiamo visto edizioni spumeggianti e altre in tono minore. Quella del 2019 è secondo noi un’edizione in ripresa: l’entusiasmo c’è ed è un bel segnale. Perché tutto si può dire degli americani, ma non che non sprizzino entusiasmo e positività, almeno quando si parla di business: e siamo tornati in Italia assorbendo tutte le vibrazioni positive accumulate in California. E’ questo, forse, il miglior segnale per il nostro settore.

La struttura che ospita la fiera, l’Anaheim Convention Center, è molto grande ma facile da girare: è provvista di un’arena interna per gli spettacoli e di diversi livelli dedicati alle aziende che vogliono stare lontano dal caos. Inutile dirvi che il padiglione di nostro interesse, quello delle batterie e percussioni, fosse il più rumoroso, tanto da doverci prendere ogni tanto un break e andare a visitare quello delle chitarre (di cui capiamo poco) o quello cinese (e pure di cinese non capiamo granché).

Detto che i fusti delle batterie continuano ad essere cilindrici e i piatti per la stragrande maggioranza continuano ad essere rotondi, di novità epocali per il nostro settore non ce ne sono e di questo sembrano essersene accorte anche le aziende che non escono più con proclami da “nuove Verità rivelate al Mondo” ma sfornano nuovi modelli, nuovi legni, nuovi design, ma per fortuna rimanendo fedeli alla linea. E’ naturale, uno strumento costruito nel 2019 ha delle caratteristiche tecniche differenti da uno costruito vent’anni prima, ma l’anima è la stessa. E menomale.

Vi riassumiamo quelle che sono le nostre impressioni, più specifiche su alcuni marchi e più generali su altri. Naturalmente, rimaniamo sempre a vostra disposizione per altre domande o per un confronto su qualsiasi argomento.

PIATTI: tra nuovi loghi e cinesi all’arrembaggio
I rumors su SABIAN erano fondati. E’ cambiato il font ed è cambiato il logo. Il logo è più bello del precedente, il font ci lascia un po’ perplessi (nota: font = il carattere con cui è scritta la parola Sabian). Sulla parete immensa del loro stand ha ancora un bell’effetto, ma sui piatti il giudizio è pressoché unanime. Abbiamo parlato con numerosi colleghi e quasi tutti erano increduli del tipo “ma davvero fanno?”. Sui canali social della Sabian le critiche sono state feroci ma l’azienda sta difendendo strenuamente la propria scelta e il nuovo corso: di questo diamo loro atto e siamo certi che il tempo darà loro ragione. Ci auguriamo che lo facciano anche i numeri.
Lo stand è, al solito, mastodontico: un’immensa parete di piatti ai piedi della quale un cymbal master martella piatti grezzi: ottima associazione tra l’immagine moderna e il lavoro che resta, sempre, artigianale. Qualche new entry nella linea AAX e qualche modello fuori catalogo: il focus di Sabian, per il 2019, è evidentemente un cambio di immagine che spinge sulla modernità.
ZILDJIAN è l’esatto opposto: bada all’essenziale con uno stand altrettanto imponente ma molto pulito e sobrio. Vengono presentati i nuovi FX Stack (già disponibili da noi in negozio e sul sito, quindi comprateli!) che sono l’attrattiva principale insieme ad alcune new entry nella gamma K con l’ampliamento degli Sweet e i nuovi Cluster Crash, favolosi davvero. Abbiamo avuto modo di vedere già tutto lo scorso ottobre a Boston, durante la nostra visita in azienda, ma il giorno prima dell’inizio del Namm Show siamo stati invitati ad un evento riservato ai più importanti rivenditori mondiali e abbiamo visto altre novità come i nuovi ear monitor targati Zildjian, disponibili in Italia da marzo.
Presso lo stand pochi piatti di altre serie, d’altra parte i loro best seller li conoscono tutti e non hanno bisogno di consolidare un marchio che è sempre al vertice. Garanzia, come sempre.
PAISTE è Europa. Quindi giochiamo un po’ in casa, un po’ come trovare il barattolo di Nutella in un drugstore nel Kentucky. Se non ci fosse stato il set di Danny Carey con la sua imponenza e opulenza (tanto da essere la seconda attrazione più visitata della fiera dopo lo stand in cui regalavano panini), quello della Paiste sarebbe stato uno stand abbastanza triste. Le novità buttate in un angolo deserto con un laconico cartello “New Models” e il resto della gamma su espositori a delimitare lo stand. Stand che come superficie era di tutto rispetto, quindi due soldi li avranno pure spesi: ok, Paiste deve pensare a fare i piatti e gli allestimenti forse non sono il loro forte. Ma un architetto precario, giusto per dare due dritte, no? La presenza di Vinnie Colaiuta presso lo stand è stato però un raggio di luce per tutta la fiera: tutti si mettono in coda per lui, e lui mette tutti in coda. Vinnie e Danny, non avvistato, salvano lo stand insomma.
ISTANBUL MEHMET. Ci accolgono con una bella notizia: siamo i loro migliori rivenditori in Italia. Mentre cerchiamo sugli smartphone “frasi di ringraziamento in turco” veniamo ancora una volta sorpresi da quante linee di piatti siano in grado di creare e mettere a catalogo, giusto per agevolarci negli ordini e chiarirci le idee. Cerchiamo di spiegare loro che forse semplificare sarebbe più opportuno, ma se già non siamo riusciti a ringraziarli in turco, figuriamoci questo. Lo stand è grande, c’è una bellissima parete celebrativa del set di Tony Williams (nel frattempo diventato angolo di preghiera per i devoti che si recavano in silenzioso pellegrinaggio flagellandosi col cilicio) e ci sono nuove linee tra cui i piatti microforati della serie X che però non sono le classiche copie dei Low Volume di Zildjian, ma sono piatti in lega nobile di bronzo e suonano per davvero, seppur con volume contenuto. Insomma, più da piccolo live club che da allenamento in casa. Il signor Mehmet esiste davvero, è cortesissimo e non parla inglese. Noi non parliamo turco. E’ stato tutto un gioco di sguardi e speriamo non abbia frainteso. I nomi di alcuni dei presenti allo stand sono quelli di alcune delle serie a catalogo: c’erano Hamer, Murathan e Sahra. Traditional no, lui è uno che preferisce stare lontano dai riflettori. E Nostalgia nemmeno c’era perché evidentemente preferiscono non portarselo dietro visto che è un frignone.
MEINL. Lontano dalla ressa. Stanno al primo piano, in una stanza che a vederla da fuori lascia presagire meraviglie ma poi entri ed è tutto troppo ordinato. Una stanza quadrata con percussioni su due lati e piatti sugli altri due: sembra un rendering. In mezzo i Byzance Foundry Reserve, fatti in Turchia e ispirati ai piatti turchi (sarebbe stato strano il contrario, d’altronde): nel solco di Zildjian Constantinople e Sabian Artisan, perché ormai la linea tracciata è quella. Da un’azienda come Meinl, che negli ultimi anni spingeva sull’acceleratore e sembrava in corsia di sorpasso ci saremmo aspettati qualcosa di davvero grandioso. Invece l’unico pedale su cui ha spinto è stato il doppio pedale per cajon di cui, francamente, nessuno sentiva la mancanza.
UFIP presente con un’esposizione delle proprie linee di punta e dei favolosi Est. 1931, ospitati dal loro distributore americano.
I turchi, gli altri. Erano così tanti che qualcuno lo dimenticheremo sicuramente. Il nostro debole è per MASTERWORK, che abbiamo trattato anni fa ma che non ha avuto il successo commerciale che avrebbe meritato, ma abbiamo ripreso i contatti: magari vi daremo qualche news nelle prossime settimane. ISTANBUL AGOP aveva uno stand di gran classe, davvero super e la qualità dei piatti non si discute ma li riteniamo fuori prezzo rispetto alla concorrenza. TURKISH, AMEDIA, BOSPHORUS, TRX, DOMINION, SOULTONE, 7TH HILL, T-CYMBALS, MURAT DIRIL e altri che ci sfuggono: tutti super, nessuno escluso. I turchi i piatti li sanno fare, eccome! E spesso i prezzi sono così bassi che ti viene il sospetto che siano fatti in Cina.
E a proposito di Cina: i piatti, pure loro, stanno iniziando a farli. E pure bene. Prevediamo che tra non molto quando qualcuno di voi ci chiederà un piatto china, gli chiederemo se intenda splash, crash o ride. Abbiamo provato un hi-hat che costava 40 dollari e che ci ha fatto letteralmente strabuzzare gli occhi. Ma non ditelo in giro!

TAMBURI: in un mondo che cambia, loro rimangono sempre cilindrici. Per fortuna.
LUDWIG above all. Il gigante americano, un po’ in affanno in Europa ma che nel suo paese è ancora grande, grandissimo. Lo stand è mastodontico, espongono così tanti rullanti che non bastano due occhi per guardarli tutti insieme. Si presentano in fiera con la portaerei e la parata è di altissimo livello: tutti i metalli, con CopperPhonic e Black Beauty su tutti, la nuova linea per il 110° anniversario e nuove finiture sui set tra cui spicca il bianco madreperla con inserti romboidali su Legacy e una Aged Exotic Collection con radica pure all’interno del fusto che era proprio da super sboroni, esageratissima. C’era tutta la gamma, dalle Breakbeats fino alla Vistalite: è uno dei brand icona del nostro settore, il gran peccato è che a volte sembrano seduti sugli allori e alcuni degli ultimi modelli, come la Neusonic, sono un po’ deludenti. Hanno avuto un endorser come John Bonham, che ancora oggi continua a far vendere come i pazzi e se solo spingessero un po’ sul marketing e su una (piccola) rivoluzione del look almeno su alcune linee, farebbero il botto e la concorrenza starebbe a guardare. Invece gli altri sono spesso già avanti.
Nota di merito: di made in China portano solo le Breakbeats e risparmiano ai nostri occhi la vista della gamma Accent. Non puoi non amare Ludwig, comunque: un po’ come il primo amore, anche se è passato tanto tempo un angolo del tuo cuore è per loro.
TAMA. Nessuno come loro ha saputo proporre novità in ogni segmento, dall’hardware con il nuovo pedale a trazione diretta Dyna-Sync (di cui parleremo meglio più avanti) fino alle nuove regine della fascia professionale, le Starclassic Walnut Birch, con il noce che sostituisce il bubinga in un connubio che ha fatto macinare numeri pazzeschi all’azienda giapponese. Il bubinga è purtroppo un legno in via di estinzione e pertanto la sua lavorazione implica ora costi elevati e un disbrigo di pratiche burocratiche che ne rendono svantaggiosa la lavorazione. Ma le nuove noce/betulla suonano alla grande e, ve lo confessiamo, in fiera non ci siamo quasi nemmeno accorti del cambiamento. Ah, comunque i fusti singoli delle Starclassic Bubinga e Betulla/bubinga potrete comunque continuare ad ordinarceli, nessun problema: ci pensiamo noi! Rimane regolarmente in produzione la Star Bubinga.
Quello che prevediamo essere il bestseller per il 2019 è la nuova S.L.P. Big Black Steel interamente in acciaio, 22-13-16 e pedalare: che belli gli strumenti così, dove non c’è scelta e non dobbiamo stare a scervellarci alla ricerca del colore e delle misure da ordinare (piacerà/non piacerà). Look pazzesco e a suonarle tutto diresti fuorché che si tratti di un set in metallo. Le abbiamo già ordinate prima ancora della fiera e saremo tra i primi ad averle in Italia. Notevoli anche le nuove finiture su Superstar Maple, con anche la configurazione compatta Neo Mod con cassa 20×10” in arrivo da noi in primavera. Gamma di rullanti al top, con il nuovo ingresso nella famiglia Starphonic del modello in rame, che prevediamo sarà un successo, e due nuovi Signature per Abe Cunningham (3mm di ottone che faranno la fortuna dei fisioterapisti) e Ronald Bruner Jr. (esterno in acciaio con interno in noce piegato senza giunti).
Tama ancora una volta mette in riga la concorrenza, con uno stand imponente ma di grande eleganza. Forse l’unico marchio che avesse davvero qualcosa di nuovo da proporre. Sempre al top.
YAMAHA e rimaniamo sui marchi giapponesi. Sono una multinazionale a tutti gli effetti e non si mischiano con gli altri: per loro un’intera sezione del Marriott Hotel, di fronte al Convention Center. Lusso a go-go, hostess carinissime e gentilissime, concerti con artisti pazzeschi, moquette e giochi di luci in una sala grande almeno come un campo da calcio: questi fanno sempre sul serio. La big news per noi è la nuova Oak Custom Hybrid, che sostituisce la Live Custom. Tre le novità principali: il fusto non è più interamente in quercia ma ha all’interno uno strato in fenolico; il sistema Y.E.S.S. è stato ridisegnato con una placchetta più grande; all’interno della cassa sono montati dei blocchetti in corrispondenza di quelli esterni, per accentuare le basse frequenze. E’ un set che si posizionerà nella fascia di prezzo della Maple Custom Hybrid, quindi ben lontano dalle cifre a cui eravamo abituati con la Live Custom e siamo curiosi di vedere come verrà recepita dal mercato. Degno di nota l’ingresso dei rullanti in legno nella gamma Recording Custom (finalmente!).
Nessuna news rilevante sul fronte delle elettroniche: la DTX482K è l’ultima nata e la EAD10 continua a fare sfracelli. E noi abbiamo tutto in casa, al solito.
PEARL: l’ultima giapponese. Al piano di sopra, lontana dal caos, con uno stand al cui ingresso campeggia una Masterworks per la cui costruzione è probabilmente stato disboscato un territorio grande come l’Emilia Romagna. Ma dentro, per dirla come Mariottide, tristezza a palate. Davvero spoglio, scarno, colori dei set secondo noi poco azzeccati quando le finiture Pearl sono quasi sempre da togliere il fiato. La qualità non si discute, Pearl è un marchio di eccellenza assoluta ma proprio per questo da loro ti aspetti i fuochi di artificio. Presentano la nuova Masters Maple/Gum e poco altro sul fronte acustico. Palco d’onore per la nuova elettronica in collaborazione con Korg, la E-Merge che dovrebbe pensionare la sfortunatissima la E-Pro Live. Da Pearl pretendiamo il massimo, uno stand così non lo meritano loro e non lo merita il pubblico. Un po’ come il primo della classe che chiamato alla lavagna fa scena muta. No, quello te lo aspetti dall’ultimo dei somari, non da Pearl. Cacchio.
MAPEX e SONOR: molti di voi forse non lo sanno, ma fanno parte dello stesso grande gruppo KHS e condividono uno stand molto bello, essenziale, pulito e di grande eleganza. I tedeschi Sonor tirano fuori dal cilindro la SQ2 di Steve Smith, bianca con hardware nero che è una favola da guardare ma non toccare, insieme alla SQ1, a quella bellezza che è la Vintage e alla Prolite che ancora oggi non abbiamo capito se rimanga in produzione per l’Europa o per il solo mercato americano. E’, questo, un mistero che cerchiamo di dipanare da almeno un anno e le risposte sono evasive come quando lasci il tuo curriculum vitae ad un possibile datore di lavoro: “le faremo sapere”. Quindi sappiate che se quando ci chiedete info su Prolite noi ci allontaniamo fischiettando, c’è un motivo valido: non sappiamo darvi informazioni. E la colpa non è nostra.
Unico peccato: la totale assenza di una brochure, di un cartellino o pure di un biglietto scritto a penna in cui fossero spiegati caratteristiche e materiali degli strumenti esposti. Peccato.
Il biglietto da visita di Mapex è il set minimale e di rara sobrietà presentato da Aquiles Priester, che occupa lo spazio in cui un altro produttore stiperebbe uno staff di 20 persone con famiglia al seguito e forse pure un paio di furgoni, tanto da essere la seconda opera costruita dall’uomo visibile dallo spazio dopo la Grande Muraglia Cinese. Il batterista brasiliano intanto s’è montato quasi tutto da solo, pare fosse lì al Namm dall’anno precedente ad avvitare bulloni. Però, ragazzi, la sua Saturn V è una gioia per gli occhi: magnifica. Suonarla dev’essere splendido anche perché, grande com’è, ovunque tocchi qualcosa colpisci quindi il rischio di andare a vuoto non c’è mai. Finitura da urlo di Munch. Armory altro cavallo di battaglia in grandissima forma: viene presentata la nuova finitura Chestnut Red Burst (o qualcosa di simile) che è così bella e ben rifinita che dal look non diresti che è uno strumento da 700 Euro o poco più. Poi, come tutti i marchi, anche Mapex presenta la propria ammiraglia, un set customizzabile in tutto e per tutto: sono le nuove Black Panther Design Lab Versatus in acero e mogano e la Cherry Bomb in ciliegio. Curiosi i nuovi reggitom in alluminio, leggeri ma ingombranti e un po’ macchinosi: questi non ci hanno convinto.
Due nomi pesanti come GRETSCH e DW si presentano con uno stand di pura rappresentanza: scarno ed essenziale, aperto praticamente solo agli addetti ai lavori. Brooklyn Micro Kit con cassa 16”, un trio di conga LP e una DW Collector’s Almond (mandorlo, il nuovo pallino di John Good): that’s all. Essendo stati in visita alla DW nei giorni precedenti i nostri occhi si erano già saziati con le mirabolanti bellezze di cui il gruppo è capace, tuttavia molta gente usciva dal loro stand visibilmente contrariata e delusa. Onestamente non ci sentiamo di dar loro torto visto che pure alcune news come i nuovi pedali 5000 a catena singola non si sono viste manco col binocolo. Peccato. Menzione d’onore per le mandorle tostate, distribuite gratuitamente all’ingresso: anche John Good quando abbiamo fatto due chiacchiere, prima ancora di chiederci opinioni sulla nuova Collector’s Almond, ci ha chiesto se le mandorle ci fossero piaciute e, interdetti, ci siamo chiesti se a quel punto non si aspettasse che addentassimo un tom.
Affiliata al gruppo DW la GEWA che, proprio in collaborazione con il brand americano, presentava negli USA la sua linea di batterie elettroniche con la G9 su tutte: le avevamo viste lo scorso anno in Germania, erano attese la scorsa primavera e la loro uscita è stata rimandata. Il modulo è fantastico, un touchscreen da 10 e lode che varrebbe la pena tenere in casa pure se non si suona, ma sul fronte della risposta dei pad riteniamo ci sia ancora parecchio da lavorare: meglio attendere ancora ma avere un prodotto perfetto che uscire sul mercato così, secondo noi.
Europa ancora presente con BRITISH DRUM COMPANY, azienda che idealmente raccoglie l’eredità della fu Premier: gli strumenti sono favolosi, le finiture di gran classe e hanno un bel look. I prezzi sono ovviamente importanti e nonostante non siano ancora distribuite in Italia auguriamo loro il meglio.
L’Italia, a proposito, è stata rappresentata da due marchi: MUSA, giovane azienda emiliana che ha esordito al Namm con un set ricavato dal rovere utilizzato per le botti di aceto balsamico tradizionale di Modena (legni invecchiati trent’anni) dal prezzo di 70.000 dollari e CVL, azienda veneta che oltre a costruire strumenti propri fornisce molte blasonate aziende americane di cui non vi facciamo i nomi ma sappiate che molti dei marchi che vi garbano utilizzano i loro fusti made in Italy. Sfortunati però gli amici di CVL, con il loro bancale che è rimasto bloccato a Parigi per tutti i giorni della fiera e non è mai stato consegnato, regalando loro uno stand vuoto ma che non ha impedito di concludere affari e di incassare la solidarietà di molti colleghi. Noi, al loro posto, avremmo probabilmente assoldato un sicario per far fuori i vertici della Fedex. 10 e lode al self control. Ammirevoli.
DIXON: è un marchio che non trattiamo ma il nuovo logo e il nuovo font sono favolosi. Bravi. Basta poco per cambiare immagine e seguono l’ottima filosofia del less is more, che noi da sempre appoggiamo. Bravi, bravi, bravi.
ROGERS: tornano, finalmente, sebbene su uno scaffale all’interno dello stand di un distributore e non con un proprio spazio. Nuovi come produzione ma ovviamente nel solco del vintage i rinnovati DynaSonic: chissà quando li vedremo in Italia. Abbiamo scambiato qualche parola con un responsabile ma non siamo riusciti a capirci granché, sembra che la situazione sia in divenire pure negli USA.
Tra i marchi minori tantissimi custom americani: SJC che ha portato diversi endorser tra cui Jay Weinberg mascherato e Josh Dun ma di cui ci lascia molto perplessi la linea commerciale, con l’introduzione di set economici di produzione cinese parecchio brutti in un catalogo che nasceva come orgogliosamente made in USA. Belle, e sappiamo che vi piacciono, le A&F: ma vi piacciono perché le avete solo viste o perché le avete provate? I prezzi sono proibitivi e vanno a braccetto con il look luxury hipster chic: senza camicia a quadri e barba folta allo stand non entravi. Q DRUM, di Los Angeles, che ha a catalogo anche set in metallo, HENDRIX DRUMS in massello e un’altra miriade di marchi ai quali dedicheremo poi un ulteriore approfondimento.

HARDWARE: sempre più massiccio, sempre più leggero
E’ l’edizione dei pedali. YAMAHA FP9 e Tama Dyna Sync soprattutto hanno tenuto banco nelle discussioni tra i batteristi. Yamaha con un pedale a doppia trasmissione catena/direct drive molto bello, con inserti in metallo blu, ancora di stabilizzazione anche sul secondo pedale e soprattutto una grande facilità di regolazione delle camme. E poi l’hardware ultraleggero Crosstown che ha avuto un successo superiore alle aspettative tanto che la produzione non riesce a far fronte alle richieste. E noi abbiamo prenotazioni dallo scorso agosto, vabbè.
TAMA presenta invece un pedale a trazione diretta dal look fin troppo lineare. Pochi fronzoli, davvero ultra basico: piastra liscia, Sync Coil (Cobra Coil, praticamente), camma dalle infinite regolazioni e un battente molto classico nel look che però ha il vantaggio di non far perdere la “pacca” quando lo si suona per ovviare a quello che è storicamente uno dei maggiori difetti dei pedali a trazione diretta. E’ comunque un pedale che ha un nemico giurato: il Pearl Demon Drive. Sarà una bella lotta. Intanto porta a casa il premio come miglior accessorio del Namm.
SONOR presenta il suo nuovo Perfect Balance Standard: versione economica ma non economicissima del più famoso Perfect Balance di Jojo Mayer.
PEARL, regina dei rack, porta in fiera una quantità di metallo che i Manowar al confronto sono una party boy band. Presente in grande spolvero tutta la gamma di meccaniche e accessori, sempre di altissima caratura.

VARIE ED EVENTUALI
Gli americani abbondano di fantasia. Abbiamo visto chiavette per accordare in alluminio, belle ma a prezzi improponibili, accrocchi di plastica per contenere ricambi che costano meno dell’accessorio stesso, allenatori in legno (!), ditali per far girare le bacchette, battenti di ogni foggia e dimensione tra cui il nuovo Ahead. Anche a questo dedicheremo un approfondimento successivo.
Vera attrazione è stato lo stand Drumeo, un vero e proprio open studio nel quale si sono avvicendati tanti artisti di fama mondiale, ripresi in diretta da una cabina di regia davvero super: qui, per una volta tanto, non si sono viste marche ma solo tanto groove.

Seguirà nei prossimi giorni il live report da Oxnard, in visita alla DW Drum Workshop!

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