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BUON COMPLEANNO, 18+2!

So esattamente ciò che mi porterebbe indietro di diciotto anni: l’odore della vernice fresca e il profumo di quell’inizio di aprile del 2006, in cui Torino era ancora frastornata dalle Olimpiadi invernali appena concluse.

In verità la mia avventura iniziò nell’estate del 2004: preparavo un esame all’università, studiando in un piccolo angolo ricavato da un magazzino di mio padre, dove c’era anche la mia vecchia Pearl Export bianca e i miei piatti Paiste 402, di cui custodisco ancora gelosamente un crash da 16″.
In quei giorni seppi che a Torino c’era un centro specializzato in batterie e mi ci fiondai subito mollando i libri: era da molto che non mettevo piede in un negozio di strumenti musicali e ricordo quel bellissimo momento in cui entrai e vidi una Tama Starclassic in betulla, arancione e rossa. Il proprietario del negozio, Andrea, che anni dopo sarebbe diventato mio cliente, mi disse che gli sarebbe dispiaciuto venderla perché era contento di avere quella bellezza in negozio, disponibile per i suoi occhi.

Quella visione mi fece tornare una gran voglia di suonare e di comprare una nuova batteria, così misi in vendita il mio set, la Export, che come me svezzò buona parte di chi si sia mai avvicinato allo strumento. La vendetti in pochi giorni, ad un ragazzo in provincia di Rieti, ad un prezzo quasi pari a quello pagato molti anni prima: mi sembrò dapprima un po’ strano, poi si accese una lampadina.

Al ritorno dalle vacanze estive iniziai ad acquistare piatti Istanbul da un grosso negozio austriaco, con l’intento di rivenderne una parte per recuperare dei soldi da investire nei miei acquisti personali per lo strumento: insomma non per guadagnarci, ma per avere quel minimo di margine che mi consentisse di poter comprare un piatto, un pedale o un rullante.

Frequentando il forum de Labatteria.com, all’epoca la community più grande e importante nel panorama italiano, mi documentai e conobbi molti altri appassionati. Quando volli acquistare un doppio pedale DW chiesi consiglio agli utenti e un allora per me sconosciuto Raphael Saini mi parlò di un negozio di Boston da cui lo comprò ad un prezzo particolarmente favorevole: questo consiglio che mi diede Raphael, involontariamente, diede inizio a tutto. Grazie Raph!

Quel negozio era di Sergio Bellotti e ricordo ancora che la prima mail che gli scrissi aveva un oggetto assai pretenzioso: “Italian business”. A pensarci ora mi viene da ridere.
Ma anche qui, l’idea era di comprare 3-4 pedali e, con il guadagno ricavato dalla vendita di una parte di essi, poterne acquistare uno per me. Mai avrei immaginato che nel corso degli anni da quell’episodio sarebbe nato il mio lavoro e sarebbe nata un’amicizia fraterna con Sergio, mio mentore.

In quegli anni in Italia i drumstore erano veramente molti: in Emilia Romagna, soprattutto, ricordo che si contavano quasi su due mani ed erano tutti fortissimi. C’erano dei punti di riferimento a livello nazionale, dei mostri sacri che non avevo intenzione nemmeno per sogno di andare ad insidiare: hey, volevo solo suonare e avere un po’ di soldi da investire nel mio strumento!
Aprire un negozio di strumenti musicali era una cosa lontana da qualsiasi mia ambizione o interesse.

Ma il passaparola iniziò a prendere piede rapidamente. “So che sei in grado di procurarmi questo e quello, è vero? Posso darti un acconto e mi avvisi quando arriva?”.
La gente mi mandava soldi senza conoscermi e aspettava anche un paio di mesi per un piatto. Anzi, qualcuno creava dei veri “gruppi di acquisto” e mi mandava direttamente gli ordini da smistare ai vari clienti. Giravo con dei biglietti da visita e li distribuivo ai concerti, alle fiere e un po’ ovunque ci fosse musica.

In breve la rete di contatti si espanse e, complice anche una favorevole congiuntura Euro/Dollaro, iniziai ad acquistare all’estero in maniera continuativa, rivendendo in Italia e traendone un buon profitto, che reinvestivo per i miei viaggi negli Stati Uniti, dove andavo per poter stringere accordi con vari negozi, che mi vendevano qualsiasi cosa a prezzi di favore proprio perché all’epoca con l’Euro a 1,50 sul dollaro era una pacchia.
Non avendo un magazzino dove farmi recapitare la merce, la facevo consegnare a casa dei miei genitori e passavo le giornate a fare i pacchi sul balcone, oppure facevo arrivare il materiale presso la panetteria di una mia zia per essere sicuro che ci fosse qualcuno al ricevimento merce.

Intanto mi ero fatto avanti contattando diversi negozi italiani e proponendomi di acquistare i loro stock di materiale invenduto, i classici fondi di magazzino fermi da anni: per non destare sospetti, dicevo loro di essere in procinto di aprire delle sale prova e che quegli strumenti mi sarebbero serviti per allestire la struttura. Non ho mai capito se abbia fatto loro un favore più grande di quello che loro abbiano fatto a me, ma era la classica situazione win-win: loro mi sbolognavano roba invendibile, io la rivendevo tramite i miei canali, senza fretta.

In una cantina del centro di Torino, che alcuni di quelli che sono oggi i nostri clienti più storici ricordano, allestii un piccolo ufficio dove non c’era nemmeno la connessione adsl: al mattino scaricavo la posta da casa, poi andavo nel mio ufficio-cantina e rispondevo a tutti offline, salvavo tutto nelle bozze e poi la sera, tornato a casa, inviavo le mail. Andai avanti così per mesi.
Erano i tempi di Ebay, dove non ricordo nemmeno quante centinaia (migliaia?) di confezioni di Moongel vendetti: e pensate che all’inizio le acquistai solo per utilizzarle come protezione per l’imballaggio, per ottimizzare i costi!

Nel 2005 la bolla mi era scoppiata tra le mani: c’erano troppe richieste e dovevo decidere se considerare queste compravendite tra privati un hobby o iniziare a farlo sul serio.

Così aprii partita iva, pensando che fosse sufficiente, e iniziai a contattare aziende e distributori in Italia, molti dei quali in realtà già mi conoscevano. La maggior parte non rispondeva nemmeno. E chi lo faceva, non era molto accomodante.
“Ah, sei tu quello che rompe le scatole su internet?”.
Mi aspettavano al varco per bastonarmi e non partivo col piede giusto perché facevo concorrenza, seppure in piccolo, ai negozi che loro fornivano. Per loro ero un rompiscatole.

E non avevano comunque intenzione di servirmi perché pretendevano la presenza di un negozio fisico, che allora non avevo poiché lavoravo esclusivamente online.

Quando finalmente trovai due vetrine nella via dove tutt’ora siamo, richiamai le aziende. “Ho fatto quello che volevate. Ora ci sono, c’è un negozio, una licenza ed è tutto in regola. Posso diventare vostro cliente?”.

Le condizioni di acquisto che mi proposero erano terribili: pagavo la merce ad un prezzo maggiore di quello a cui tutti i negozi la vendevano al pubblico. Come avrei potuto farcela? L’entusiasmo non mi mancava, ma i numeri erano impietosi: a quelle condizioni, lavorare sarebbe stato impossibile.
Puoi avere le migliori intenzioni del mondo ma non puoi combattere contro l’aritmetica.

Inoltre ricordo bene che quasi tutti i rappresentanti che venivano a trovarmi anziché incoraggiarmi mi buttavano giù. Erano stati scottati, pochi anni prima, dal fallimento di un grosso negozio di strumenti musicali a Torino e all’epoca per gli agenti di commercio era in vigore la norma dello “star del credere”, secondo la quale le aziende che rappresentavano avrebbero potuto rivalersi sulle loro provvigioni qualora un cliente fosse stato insolvente. Quindi, di fatto, erano terrorizzati all’idea di un negozio che lasciasse qualche buco in giro che avrebbero dovuto ripianare loro in prima persona, inoltre consideravano Torino come una piazza impossibile in cui lavorare, fagocitata peraltro dalla presenza a 40km scarsi di un colosso come Merula che involontariamente faceva tabula rasa di qualsiasi attività gravitasse nella sua orbita geografica.

“Hai Merula a mezz’ora di macchina, non puoi farcela, lo diciamo per il tuo bene: sei giovane, cerca altro da fare”. Questa più o meno è stata la cantilena che mi hanno ripetuto tutti.

Un paio di negozianti invece mi tesero la mano, offrendomi di acquistare da loro e garantendomi un margine minimo di guadagno: avrei pagato la merce meno da loro che dai distributori e la prima volta che parlai di persona con uno di loro, tornai a casa rincuorato e molto felice.
Ma dopo averci dormito su, il giorno dopo realizzai che accettare questo tipo di aiuto avrebbe significato due cose: ingrassare il fatturato di un altro negozio e non poter mai camminare con le mie gambe.

Forse non lo sapete ma questo settore è di fatto una casta: le facce sono sempre le stesse, musicisti ed ex-musicisti, commessi ed ex-commessi che prendono le redini, figli d’arte o qualcuno che si trova il negozio tramandato da generazioni. Io non c’entravo nulla con loro.

E questo non deponeva a mio favore, agli occhi degli addetti del settore: non ero un batterista professionista e venivo da una famiglia i cui affari sono sempre stati altri. Anche per questo era difficile farmi prendere sul serio.

Un piano b non ce l’avevo, così iniziai comunque a sistemare il negozio in via Viverone: una mano di grigio topo tremendo, una scrivania all’ingresso, qualche luce e poche cose da far vedere. Per la prima vetrina dovetti esporre dei miei piatti perché altri non ne avevo.

La prima vetrina in assoluto, senza insegna

All’inizio non c’era nemmeno il bancone perché non avevo abbastanza soldi per farmelo fare. E in tutto questo le aziende non volevano lavorare con me, mi proponevano contratti impossibili e continuavano a snobbarmi.

Tutte tranne una. O meglio, tutti i rappresentanti tranne uno.

Nicola, a cui devo moltissimo, era all’epoca il rappresentante della Gewa, un grosso gruppo che conoscete e che già allora distribuiva DW. Fu davvero l’unico a darmi fiducia.
“In Torino città non abbiamo rivenditori DW, quindi non sei in competizione con nessuno: ti metto nelle migliori condizioni di acquisto e cercherò di aiutarti come posso”. Avevo 27 anni.

Investii tutto quel pochissimo che avevo con loro. Erano il mio unico fornitore. E quando partii con loro, che come blasone erano indiscutibilmente i numeri uno, in breve iniziarono a chiamarmi tutti.

In negozio c’erano muri di pedali DW, ne vendevo a frotte e chiusi il biennio 2006/2007 con un fatturato tra i primi 5 in Italia, sul marchio. Vendevo batterie DW senza averne nemmeno mezza in casa.

Alla fine del 2006 potei permettermi il bancone in legno.

Ma il negozio non aveva ancora orari, aprivo su appuntamento e non ero ancora convinto che avrei voluto fare questo nella vita.

Prime sembianze di qualcosa di serio, ma più poster che strumenti

I primi clienti fisici in assoluto entrarono in negozio a dicembre 2006: tre metallari venuti a fare un regalo al loro batterista. Marco, il mio primo preziosissimo collaboratore, mi chiamò mentre ero in magazzino a fare pacchi. Ero molto emozionato, erano i primi clienti “fisici” e non avevo nemmeno un grande assortimento: presero un piatto bell della Stagg da 20 Euro. Da allora tornarono tutti gli anni per il compleanno del loro amico: era un appuntamento fisso. E ad ogni anno il negozio prendeva forma e consideravo la loro visita come un momento per fare il punto della situazione.

Da quel dicembre iniziò a venire qualcuno in negozio: anche solo una o due persone al giorno, con cui si ascoltavano album e si sezionavano i drumsolo di questo e quello, si prendeva un caffè e si chiacchierava tantissimo di musica.

Nonostante il lavoro aumentasse non ero comunque ancora realmente convinto che quella sarebbe stata la mia strada: i miei genitori forse non se ne sono ancora fatti una ragione oggi, tanto che quando parlano di me con qualche loro amico sono soliti dire “sì, vende tamburi, ma ha anche fatto l’università, eh!”.

Una mirabolante esposizione di piatti, anno 2006

Nel 2007, dopo aver meditato a lungo sulla sostenibilità di un nuovo affitto, presi un basso fabbricato che unii al negozio principale: e di questa scelta devo ringraziare Sergio che, durante una delle nostre innumerevoli telefonate intercontinentali mi disse, testualmente, che se il mio business non fosse stato in grado di reggere un affitto da poche centinaia di Euro al mese, forse non era un buon business.
Questa frase mi aprì un mondo e mi rimbomba in testa ancora oggi, ogni volta che devo prendere una decisione e non solo sul lavoro.

Questo nuovo spazio mi consentì di costruire anche il box di prova per gli strumenti.

A novembre del 2007, mentre ero fermo al semaforo e fissavo un bar che pubblicizzava l’apertura h24, pensai che sarebbe stato bello avere un negozio di strumenti musicali aperto per 24 ore, foss’anche per un solo giorno.
Così, la notte del 23 dicembre 2007, lanciai “La Lunga Notte delle Batterie”, con un gran battage pubblicitario nelle settimane prima, attaccando locandine in sale prova, negozi di dischi e scuole di musica: fu un successo clamoroso, che negli anni ha richiamato gente da tutta Italia e che contribuì a fare conoscere il nome nell’ambiente.

Nel 2011 affittai un altro negozio attiguo e lo collegai al principale: stavo occupando ogni locale possibile, ma dopo pochi mesi si presentò nuovamente il cronico problema di spazio.

Dal 2012 parlo al plurale, perché ho iniziato ad avere dei collaboratori con cui sono cresciuto e ho iniziato a considerare RingoMusic come una squadra vera e propria. E primo fra tutti menziono ovviamente Fabio, che è con me da oltre 10 anni, sperando di non fare troppo torto agli altri.

Dal 2012 al 2018 gli anni sono volati: tante clinic, eventi, la crescita sui social, nuovi marchi acquisiti e un incremento costante dei nostri numeri ci hanno permesso di superare anche i fisiologici problemi economici e i momenti di scoramento che chiunque nella propria vita lavorativa può attraversare. Non è stata sempre una passeggiata.

Fino al 2018 lavoravamo solo su Facebook, Mercatinomusicale, che poi abbandonammo, e tramite il passaparola: ci bastava, c’era già parecchio da fare così. Curiosamente, avevamo iniziato online ed eravamo praticamente l’unico negozio in Italia a non avere un sito. Ma i clienti continuavano a comprare da noi, rispondevamo a centinaia di mail ogni giorno, non ricordo quanti preventivi facessi alla settimana, ma non avevamo un metodo.

Nonostante fossimo già molto conosciuti eravamo pure diventati una barzelletta: tutti ci prendevano bonariamente in giro. Clienti, amici e colleghi: “Oh ragazzi, ma ‘sto sito?”.
Pure alle riunioni presso le aziende, in cui mi capitava di incrociare molti colleghi, avevo sempre l’impressione che tutti mi volessero chiedere: “Ma come fate a lavorare così tanto senza avere un sito?”.

Per non farci prendere in giro, facevamo tutto da soli giocando d’anticipo

E per divertirci un po’ lanciammo una contro-campagna sui social per confondere le acque, dicendo che il sito era pronto, o forse no. O forse non ci importava nemmeno averlo, cosa peraltro abbastanza vera. Sito uguale rogne, nuove robe da seguire: ne valeva davvero la pena? In fondo andavamo già benone, ci eravamo ritagliati la nostra nicchia di affezionati, non ci bastava già la concorrenza interna? Dovevamo esporci sul web e andare contro i colossi stranieri? Troppo sbattimento, volevamo starcene tranquilli.

In realtà al sito iniziammo a lavorarci nel 2012 ed era già tutto pronto da 5 anni, ma nel frattempo era diventato obsoleto e decisi di buttare via tutto e di ricominciare da capo, perdendo soldi e il tempo speso fino ad allora: ma alcune volte bisogna ripartire da zero, aggiustare il tiro in corsa non serve.
Così formalmente accantonai il progetto fino a quando a metà del 2017 conobbi Tiziano, programmatore nonché batterista: era la combo perfetta per realizzare ciò che avevamo in mente.

Avevamo aspettato troppo e le nostre aspettative erano veramente troppo alte: dovevamo entrare a gamba tesa, non potevamo fare un sito ai limiti dell’amatoriale.

Il 20 ottobre del 2018, nel riserbo più assoluto, andammo online, senza una riga di pubblicità o un annuncio sui nostri canali: volevo capire quanta fosse la curiosità da parte del pubblico, nel cercarci senza che fossero sicuri di trovarci online. Mi diedi 2 settimane di tempo per ricevere il primo ordine: se così non fosse stato l’avrei considerato un fallimento.
E ricevemmo il primo ordine il 25 ottobre alle 21:09: conservo ancora lo screenshot!

Giuliano, un cliente di Genova, acquistò uno splash Paiste PSTX Swiss da 10” mentre io ero sul divano con la ragazza che qualche anno più tardi sarebbe diventata mia moglie. Ero gasatissimo.

Il 22 novembre 2018, con un video super amatoriale in cui raccontavo la genesi del sito – ricordo che mi cadde pure il telefono mentre lo giravo – il lancio fu ufficiale.

Novembre 2018: questa volta era vero

Controllare statistiche e numero di visitatori ogni mattina era la mia nuova droga.

Dopo 14 anni nel settore e 12 anni di negozio fisico, avevamo finalmente un e-commerce ben fatto e nel quale, di questo sono molto felice, riusciamo ancora adesso a trasmettere esattamente il nostro modo di essere: poco istituzionali, molto diretti.

Fu una fortuna andare online a fine 2018 e avere un anno di rodaggio per sistemare al meglio ogni dettaglio ed essere nostro malgrado pronti a fronteggiare una pandemia mondiale, potendo contare su un canale di vendita che non si è mai fermato e che ci ha sorprendentemente consentito di chiudere anche il 2020 in positivo, nonostante tutto quello che ognuno di noi ha vissuto.

Il traffico crescente ci spinse inoltre a cambiare serve 4 volte nel corso di pochi mesi.

In piena pandemia, quando avremmo dovuto raccogliere qualsiasi cosa arrivasse, presi la decisione di non accettare più PayPal come metodo di pagamento sul nostro sito: per il primo mese i volumi calarono sensibilmente, ma poi recuperammo: i clienti erano dalla nostra parte.

Da allora, con voi devo essere sincero, siamo cresciuti oltre ogni previsione ma, ancora oggi, il negozio fisico è per noi l’amore più grande e numericamente ancora quello più importante: questo significa che crediamo sia un valore aggiunto essere, oggi, presenti sul territorio e avere un’esposizione reale degli strumenti.
Perché poi, inutile negarlo, questo è un lavoro che ha una grossa parte di sentimento, passione ed estetica: tutte cose che in un magazzino circondati dagli scatoloni non troveremmo.
Noi abbiamo bisogno del contatto fisico e questa è un’altra cosa che abbiamo imparato durante e dopo la pandemia.
Mentre vi scrivo queste righe un cliente di Milano è nel box a provare dei piatti, altri ragazzi chiacchierano davanti al bancone e sento il campanello suonare di continuo: è questa la parte più bella.

La pandemia e gli ultimi 4 anni sono stati per noi cruciali: abbiamo cambiato orari, abbiamo ottimizzato le nostre attività introducendo dei nuovi processi gestionali e abbiamo cambiato radicalmente approccio ai social.

Il nostro sito ha avuto altri due restyling importanti, l’ultimo a giugno del 2022 nello stesso identico giorno in cui anche i colleghi di Acustica Napoli lanciavano il loro nuovo sito: sapevano che noi ci stavamo lavorando e noi sapevamo lo stesso di loro. Con Leopoldo non si contano le telefonate in cui entrambi facevamo la melina.
“Dai, dimmi quando andate online così poi andiamo pure noi”. “No, no, dimmi prima tu e poi ti seguiamo”. Era diventato uno scherzo tra di noi, nessuno voleva fare il primo passo.
Poi, senza metterci d’accordo, per pura coincidenza uscimmo online lo stesso giorno. Noi li precedemmo giusto di un paio d’ore. Quando iniziai quest’avventura loro erano già dei big: sapere che ora aspettavano la mia prima mossa per fare la loro fu per me motivo di grande orgoglio.

Sono quindi, proprio in questi giorni di aprile, 18 anni di negozio fisico più 2 di propedeutica: 20 anni sono una vita. Sicuramente l’età di qualcuno di voi.

Quando ho iniziato di negozi in questo settore ce n’erano tanti, oggi non più.

E col passare del tempo sono sempre più convinto della mia scelta: non vendiamo corde, non vendiamo impianti audio, non abbiamo una scuola di musica, non ripariamo strumenti a fiato e soprattutto non vendiamo tastiere.

Vendiamo tamburi e basta. E così sarà, nei secoli dei secoli.

Se mi guardo indietro penso che l’amore per la musica, prima ancora che quello per la batteria, sia stato il vero motore di tutto: non è il mero commercio, qui devi metterci qualcosa in più, devi parlare la stessa lingua di chi parla con te.
E soprattutto, bisogna divertirsi, lavorare seriamente senza essere troppo seri.

Su un foglietto che ho da sempre sulla scrivania ho scritto tre sostantivi: grinta, sorriso, competenza. Lo guardo almeno una volta al giorno per ricordarmi come fare il mio lavoro.

Tornerei al 2004 o al 2006 solo per le sensazioni che si hanno sempre quando qualcosa inizia: che sia un amore, un figlio che nasce, un nuovo lavoro o mettere su casa. Un nuovo inizio è quello che mi auguro e che auguro ad ognuno di voi, per qualunque sia il vostro progetto di vita, di lavoro, o di altro.

Grazie per questi 18+2 anni passati insieme!

M

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